LA PAROLA DELLA DONNA E' UNA DOPPIA NEGAZIONE, PARTE II Autorialità, Creatività e logiche binarie
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Quando nel 2016 ho presentato la mia versione della nascita del linguaggio verbale come “doppia negazione” nella poesia “Il no di Eva Mitocondriale” (vedi mio post precedente) non sospettavo che avesse una certa somiglianza con la teoria del linguaggio come passo evolutivo presentata dal filosofo Eugene (Gene) T. Gendlin in "A process Model" (2018).
C'è comunque una sostanziale differenza tra le due teorie, che va subito chiarita. Io vedo il linguaggio verbale staccarsi dal corpo per l'impossibilità che il corpo rappresenti un processo repulsivo od odioso che dovrebbe replicare per poterlo poi negare con un gesto. Gendlin invece costruisce la sua teoria con una forte continuità tra linguaggio verbale e linguaggio corporeo e non assegna ai simboli verbali del linguaggio umano un ruolo di rilievo. Nella sua teoria, che è molto più articolata della mia, il paradosso della rappresentazione dell'irrapresentabile non esiste affatto, dal momento che il simbolo verbale si stacca dal corpo in maniera convenzionale, andando ad occupare uno spazio dove esiste da solo. Questa decisione metodologica del costruttore della teoria replica nel modello la definizione tradizionale di simbolo che acquista la caratteristica di “qualcosa che sta per per qualcosa di diverso” sdoppiandosi e andando a collocarsi da solo in uno spazio, vuoto di gesti.
Nell'affascinante e intricato modello di Gendlin, il corpo riesce a rappresentare la violenza - pensata come lo scontro fisico tra due maschi dominanti in un gruppo di scimmie che deve stabilire chi avrà la supremazia nel gruppo– ma ne rappresenta solo un segmento iniziale. Infatti, siamo invitati a immaginare una situazione in cui il processo venga ostacolato, si blocchi, e così se ne possa reiterare solo il gesto iniziale. Questo gesto iniziale subisce delle versioni che si collegano tra di loro e danno origine a una “danza” che rappresenta la pacifica soluzione di un conflitto. Nello stadio più alto dell'evoluzione dell'essere umano, il metodo di crescita personale personale scoperto da Gendlin, il Focusing, viene rappresentato proprio dalla danza, attraverso la figura della ballerina Isadora Duncan che sosta a lungo prima di ideare il prossimo passo della sua danza. Duncan è insicura, dunque, ma abbastanza sicura per sapere che un passo nuovo emergerà dall'accettazione di quella insicurezza. La capacità di negare, sospendere, mettere in “pausa” tutte le sequenze culturali note, rappresenta a questo punto il tratto saliente che porta all'emergere della nuova forma di vita, uno spazio di pura creatività ed autentica possibilità di ridefinizione del Sé.
Per Gendlin quindi tutto il linguaggio nega la violenza e se violenza è negazione della vita tutto il linguaggio si pone come doppia negazione, ossia come negazione della negazione della vita.
A prima vista, questa visione del linguaggio e della cultura umana sembra radicalmente antiquata, forse “buonista”, ma il punto non è questo. E' semplicemente un modello non in grado di spiegare come la violenza si produca, soprattutto quella sulle donne. Paradossalmente, infatti, se tentiamo di spiegare la violenza con il modello di Gendlin, ci allontaniamo dal modello per arrivare alla conclusione che la violenza si produce perché il modello fallisce. E il modello fallisce perché la filosofia dell'implicito di Gendlin non è un modello di spiegazione causale di fatti già avvenuti in passato, ma un modello di esplicazione, ossia “dispiegamento”, per ciò che potrebbe essere e che in effetti sarà, se riusciamo ad inviduarlo e a guidarlo nella sua attuazione essendone a nostra volta individuati e guidati. Anche se la diade che il modello di Gendlin dispiega, in evidentissimo collegamento con la Fenomenologia dello Spirito di Hegel è quella di “corpo/ambiente” io userò quella “natura/cultura”, che è più conosciuta nella teoria femminista. Partendo da questa diade posso dire che – nella filosofia dell'implicito e nel linguaggio come doppia negazione – natura e cultura sono sempre in interazione come già modificate l'una dall'altra.
Ogni individuo vive questa interazione nelle sue situazioni di vita e ha la facoltà di rifiutare le attribuzioni sentite come estranee, discriminatorie o violente, rifiutando la logica binaria che dice “A = non-non A o “A oppure non-A” nel pensiero, ossia in una qualsiasi attribuzione di una proprietà a noi stessi e agli altri. Rifiutare le sequenze culturali note, sostare come fa Isadora Duncan prima di creare un nuovo passo di danza, significa, per esempio, impegnarsi a riempire lo spazio simbolico tra una “cisgender” e una “non transgender” o tra una “transgender” e una “non cisgender” con qualcosa di nostro, di personale, di inimitabile che potrebbe anche non essere una nuova identità.
Inoltre, il colmare la distanza tra lo stereotipo “A” che ci viene imposto dall'esterno (patriarcale) e il “non A” dove arretriamo difensivamente ha molto più valore se questo esercizio è fatto non a tavolino, ma portando l'attenzione a quello che emerge per noi nell'esperire e se questo esperire è condiviso in un processo collettivo.
Il movimento femminista italiano che si fa spesso trovare disunito ha urgentemente bisogno di ritrovare una comune pratica di consapevolezza creativa e di ascolto reciproco dove si possano sperimentare linguaggi nuovi e nuove forme di vita.
Nella foto, particolare su Isadora Duncan dalla scultura di Daniel Spoerri, Marmo di Carrara, 2008 "Duodecim ultimae cenae de claris mulieribus"
WOMAN WORD IS A DOUBLE NEGATION
PART II
Authoriality, Creativity and Binary Logic
When in 2016 I presented my version of the birth of verbal language as a "double negation" in the poem "The No of Mitochondrial Eve" (see my previous post) I did not suspect that it had some similarity with the theory of language as an evolutionary step presented by the philosopher Eugene T. Gendlin in A process Model (2018).
However, there is also a substantial difference between the two theories, which must be clarified immediately. I see verbal language detaching itself from the body, due to the impossibility that the body represents a repulsive or hateful process, that it would have to replicate in order to then be able to deny it with a gesture. Gendlin, on the other hand, builds his theory with a strong continuity between verbal language and body language and does not assign a prominent role to the verbal symbols of human language. In his theory, which is much more articulated than mine, the paradox of the representation of the unrepresentable does not exist at all, since the verbal symbol detaches itself from the body in a conventional way, going to occupy a space where it exists alone. This methodological decision of the constructor of the theory replicates in the model the traditional definition of a symbol that acquires the characteristic of “something that stands for something else” by splitting itself and going to place itself alone in a space, empty of gestures.
In the fascinating and intricate model by Gendlin, the body manages to represent violence - conceived as the physical confrontation between two dominant males in a group of monkeys - but it represents only an initial segment of it. In fact, Gendlin invites us to imagine a situation in which the process is hindered, blocked, and so only the initial gesture can be repeated. This initial gesture undergoes versions that connect to each other and give rise to a "dance" that represents the peaceful solution of a conflict. In the highest stage of the evolution of the human being, the method of personal growth discovered by Gendlin, Focusing, is represented by dance, through the figure of the dancer Isadora Duncan who pauses for a long time before devising the next step of a new dance sequence. Like many women before her, Duncan appears to be uncertain, although she is certain that something new will finally arise from that uncertainty. The ability to deny, suspend, pause all known cultural sequences, represents at this point the salient feature that leads to the emergence of a new form of life, a space of pure creativity and authentic possibility of redefining the Self.
For Gendlin, therefore, all language denies violence, and if violence is the negation of life, then all language presents itself as a double negation, that is, as a negation of the negation of life.
At first glance, this vision of human language and culture seems radically old-fashioned, perhaps “do-good”, but that's not the point. It is simply a model not able to explain how violence occurs, especially that against women. Paradoxically, in fact, if we try to explain violence with the Gendlin model, we move away from the model to arrive at the conclusion that violence occurs when the model fails. And the model fails because Gendlin's philosophy of implicit is not a model of causal explanation of events that have already occurred in the past, but a model of explication, or "unfolding", for what could be and in fact will be, if only we can interact with it in a right way.
Even if the dyad that Gendlin's model unfolds, in evident connection with Hegel's Phenomenology of the Spirit is that of "body / environment", I will use that "nature / culture", which is best known in feminist theory. Starting from this dyad I can say that - in the philosophy of the implicit and in language as a double negation - nature and culture are always in interaction as already modified by each other.
Each individual experiences this interaction in his or her life situations and has the faculty to reject attributions felt as extraneous, discriminatory or violent, rejecting the binary logic that says “A = non-non A or “A or non-A ” in thought as well as in ANY attribution But here we have to be careful, because rejecting known cultural sequences, pausing as Isadora Duncan does before creating a new dance step, means committing to fill the symbolic space between a "cisgender" and a "non-transgender" or between a "transgender" and a "non-cisgender" with something ours, personal, inimitable that is not necessarily a gender identity. Furthermore, bridging the gap between the stereotype "A" that is imposed on us from the outside (patriarchal) and the "non-A" where we retreat defensively has much more value if this exercise is done bringing attention to what emerges for us in experiencing and whether this experiencing is shared in a collective process.
The Italian feminist movement that has often been found disunited and unprepared urgently needs to rediscover a common practice of creative awareness.
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